Fashion Week Revolution 2019
Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2019
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Alcune di voi mi hanno chiesto di parlare anche di sostenibilità in linea generale, quindi non necessariamente legata alla cosmesi.
Mi ha fatto piacere questa richiesta, perché, come dico ogni volta, il concetto di ecobio va oltre al mio barattolino di crema, va oltre la mia faccia e va oltre il mio ombelico, insomma.
Viviamo tutti in un Pianeta di cui spesso ci dimentichiamo, facciamo finta che non sia una nostra responsabilità averne cura e rimandiamo agli altri tutte le azioni possibili.
Trovo invece che, nel nostro piccolo, molto invece sia possibile fare. Certamente mediando con le nostre possibilità e le nostre condizioni di vita. Ma la cosa più importante, secondo me, è non restare indifferenti.
Questa premessa per arrivare a parlare di un tema chiave di questa settimana, dato che siamo in piena Fashion Revolution Week.
Se non ne hai mai sentito parlare, Fashion Revolution è un movimento nato dopo il crollo dell'edificio Rana Plaza, Bangladesh, il 24 aprile del 2013, in cui sono morte più di mille persone, in gran parte occupate in fabbriche di abiti a basso costo commissionati da brand occidentali.
La sintesi di tutto è che i nostri abiti, comprati a basso prezzo - e anche altri che compriamo ad alto prezzo, ma diciamo che il grosso della produzione riguarda i primi - costano molto più cari di quanto li paghiamo. Costano in termini di inquinamento ambientale (tinture tessili non adeguatamente smaltite), in termini di dignità umana (lavoratori sottopagati e ridotti ad un vero e proprio schiavismo), in termini di danno ambientale dato, per esempio, da coltivazioni indiscriminate di cotone con conseguente uso di pesticidi.
Costano ai negozi, che non riescono a stare dietro alle collezioni, che da 2 sono diventate 4 e poi 8 e adesso cambiano gli abiti nei negozi ogni settimana. Costano quindi sullo spreco, perché non tutto verrà venduto, naturalmente.
Costano in termini di sostenibilità a 360°.
Personalmente, ho iniziato ad interessarmi al tema molti anni fa, ben prima del crollo di Rana Plaza, quando muovevo i miei primi passi da consumatrice critica (parliamo del 1999... wow).
Il concetto di "equo e solidale" si stava affacciando e con lui le Botteghe del Mondo: lì ci sono anche tessili, il che vuol dire che non solo nel cibo troviamo delle inequità, ma anche nei tessuti, nell'abbigliamento e nel tessile in generale.
Qualche anno più tardi, ho poi letto questo libro e sono inorridita. Per 6 mesi non sono più riuscita a comprare nulla, tanto lo shock.
Da poco invece ho guardato il documentario "The True Cost", che trovi su Netflix in italiano, non so se ci sia da altre parti. Anche in quel caso, groppo alla gola e senso di impotenza.
Ma siamo davvero così impotenti?
Secondo me: NO.
Con le nostre decisioni d'acquisto possiamo decidere molto e contribuire in qualche modo ad orientare il mercato.
Pensa alla cosmesi ecobio: 20 anni fa non si sapeva cosa fosse, adesso è diffusa anche nei supermercati.
Anche l'abbigliamento "etico" comincia a fare capolino in molte catene: H&M fa la linea Conscious, OVS ha capi in cotone organico, così come Decathlon. In questo caso parlerei di Greenwashing, ma è comunque un fatto sintomatico di un mercato che sta richiedendo più trasparenza e più rispetto per la natura umana e del mondo.
Un primo modo, dunque, per acquistare diversamente, è scegliere brand che siano sostenibili. Ce ne sono diversi e ti lascio fare le tue ricerche, mi vengono in mente: People Tree, Komodo, AltaRosa, EcoGeko, H-Earth, Quagga. Uno in particolare però è nel mio cuore, perché la sua creatrice, Manuela, è una mia carissima amica, e sto parlando di Rètro: made in Italy, con tessuti bio, tinture non tossiche e non impattanti. Indossare un suo capo è una carezza, la differenza si sente subito al tatto.
Il problema però è che gli abiti "etici" hanno un prezzo che ovviamente non è paragonabile a quello di brand di fast-fashion come Zara, H&M, Mango, ma anche Benetton eccetera.
La qualità ha un prezzo, come abbiamo ben capito, e se vogliamo pagare i lavoratori il giusto, se vogliamo tinture sostenibili, processi di produzione sostenibili, tessuti sostenibili, il prezzo che avremo alla fine non potrà mai nemmeno avvicinarsi a quello di una maglietta fast fashion che userò due volte per poi dimenticarla.
Questo deve farci desistere? Se i prezzi dei brand sostenibili per te sono fuori portata, devi quindi rinunciare a qualsiasi scelta etica e ragionevole in merito?
Ancora una volta: NO.
Dato che anche io non posso acquistare sempre e solo capi etici, sia per questioni di prezzo, sia per questioni legate al mio gusto personale - non sempre trovo nella moda green capi che mi valorizzano, che mi piacciono e che incontrano il mio stile - ecco alcune cose che faccio e che puoi fare anche tu:
- riflettere sulla necessità del capo/accessorio che sto per comprare. La fast fashion si chiama così, "moda veloce", proprio perchè va a sollecitare il nostro desiderio compulsivo di gratificazione immediata. Sono triste? mi compro una maglietta, tanto costa poco. Sono annoiata? Vado a fare shopping, tanto qualcosa che costa poco per tirarmi su la trovo. E così in men che non si dica accumuliamo tonnellate di vestiti, che spesso non ricordiamo nemmeno di avere! Per non parlare degli acquisti sbagliati: compriamo un capo perchè l'abbiamo visto indosso a qualcuno, perché ha una fantasia che va di moda (presente unicorni, ananas, fenicotteri? qualche anno fa gufi... e potremmo continuare), e poi non si abbina a niente del nostro guardaroba o, ancora peggio, non ci valorizza.
Il discorso qui sarebbe lungo, perché si parla di andare a lavorare su quanto siamo influenzati da nostro contesto sociale e dalle nostre insicurezze. Brevemente suggerisco: calma, ti piace una cosa lì per lì? Aspetta qualche giorno. 90 su 100 te la sei dimenticata. Se non te la sei dimenticata, vai a provarla. Chiediti se si combina con quello che hai nell'armadio e se non hai già mille altri capi simili. Nota se il colore ti illumina o ti spegne, se le forme ti esaltano o ti mortificano.
- comprare vintage. Il vintage ha i suoi costi, ma dipende: a volte si trovano vere occasioni.
- comprare usato: abiti usati li trovi al mercato, in negozi specifici, online. C'è davvero l'imbarazzo della scelta e io adoooooro cercare e scovare quel capo che proprio è perfetto, pagarlo poco e ridargli nuova vita. Ho comprato camicette di seta, gonne di marche note che adoro per il loro design, canotte con strass, abitini... Occorre solo cercare e trovare i propri negozi/venditori preferiti.
- Etsy: non sto nemmeno a spiegarti cosa sia etsy, il bazar artigiano dove si trovano ottimi negozi di hand-made. Non solo abiti ma anche accessori. Vuoi mettere l'originalità di sfoggiare qualosa che non abbiano identico altre migliaia di persone?
- Fai da te: io non ne sono capace, ma invidio molto chi sa usare la macchina da cucire. Se avessi tempo di imparare e costanza di dedicarmici, credo che sarei felice di rifarmi da sola mezo guardaroba!
- Swap con le amiche: se hai amiche della tua taglia, regala gli abiti che non indossi più e che sono ancora in buono stato, e magari dai vita ad uno scambio reciproco.
- Fai shopping nel tuo guardaroba: quante volte a me capita di dimenticarmi di un capo che avevo acquistato? troppe, infatti sto tentando di porvi rimedio, mettendo in pratica tutti i suggerimenti che ti sto dando. Ma a maggior ragione, se sei come me, prenditi un tempo per guardare nel tuo armadio, vedere se c'è qualcosa che non metti da tempo, trovare nuovi abbinamenti.
Mi fermo qui, anche se davvero avrei ancora molto da dire, perché credo di aver toccato il record di lunghezza.
Tu come ti regoli con l'abbigliamento? Cerchi di fare scelte sostenibili? Hai qualche dritta da lasciare a tutti?